La scultura eco del pensiero di Andrea B. Del Guercio

All’interno della scultura contemporanea italiana, contrassegnata da un panorama espressivo fortemente ridimensionato rispetto alla ricchezza ed alla qualità propositiva degli ultimi decenni del XX secolo, si riconosce la presenza di Christian Costa, artefice attento di un percorso plastico-progettuale dedicato all’iconografia del pianeta terra.

L’artista si pone in relazione con lo sviluppo linguistico e con i processi espressivo-tematici della cultura plastica attuale, contrassegnata da sistemi analitico-formali, ed in contatto con i valori di una manifesta progettualità concettuale; possiamo aggiungere che Costa sia andato a specificare con l’originalità del suo lavoro un processo espressivo che include per un verso la stabilità iconografica della forma simbolica mentre per un altro innova ogni singolo passaggio con puntuali soluzioni cromatiche, tecniche e di comunicazione .

Di fatto il carattere analitico e sistematico di Costa appare funzionale ad un procedere per tappe di ricerca e sopratutto di approfondimento di un messaggio artistico, suggeritore sia di valori estetici, il colore-forma, che problematici, la scrittura-forma.

Ogni singolo manufatto espressivo, diversamente caratterizzato tra il dato di supporto ligneo e quello metallico, qualifica la propria superficie monocromatica attraverso il gesto della scrittura quale fonte originaria della comunicazione del pensiero; la sfera, quale perfetta figura geometrica, razionale nel suo fluire nello spazio, ma anche volume che si impone con attraente forza, non sfugge, lungo la sua elegante superficie, all’indelebile ferita del degrado ambientale, riscattata attraverso la trascrizione della testimonianza letteraria, della citazione poetica. Il dato della scrittura manuale, inteso quale valore che si pone alle origini della comunicazione rispetto al sistema globale avanzato, apporta un significativo contributo estetico-concettuale al progetto espressivo di Christian Costa, oggi raccolto in questa edizione con valore di ampio insieme.

L’obiettivo di questa esposizione ruota, in base a questa lettura introduttiva, sull’istallazione coordinata in un unico spazio di un ciclo recente di opere e della loro relazione con l’avvolgente tessitura ambientale della scrittura-racconto; Costa ha concepito un evento visivo-letterario in cui la fruizione viene catapultata non solo nella percezione dell’opera d’arte, ma direttamente all’interno di un sistema planetario in cui la comunicazione scritta acquisisce un ruolo attivo e paritetico con quello della forma sferica, affermandosi nello spazio circolare circostante.

Vedremo il pianeta terra non più come una realtà solitaria nel silenzio freddo del sistema, ma essa stessa sistema sviluppato, moltiplicato per riflesso, seguendo una forma di colonizzazione, per replicazione fino a proiettare, simile ad un eco, i contenuti migliori del pensiero umano verso l’infinito. Entrando all’interno dell’istallazione si diventerà partecipi non solo del singolo racconto volumetrico, ma di una realtà che, grazie al coinvolgimento intero dell’ambiente, si dimostra assai più complessa e coinvolgente; l’habitat artistico ridisegnato da Costa nello spazio della galleria arricchirà di contenuti riflessivi ed esperienziali il ruolo stesso del visitatore portandolo verso un’esperienza attiva, coinvolgendolo all’interno di relazioni diverse, policrome, polimateriche, interdisciplinari.

Critica Stefania Bison

Proteggi la fiamma,

perché se non la si protegge,

prima che ce ne rendiamo conto il vento la spegnerà,

quel vento stesso che l’aveva accesa.

 

Joseph Beuys

 

La Terra. Violata, maltrattata, bruciata, negata nella sua più profonda bellezza. Odiata e disprezzata da chi dovrebbe in realtà averne cura, da chi dovrebbe custodirla come bene prezioso da tramandare alle generazioni a venire. E poi la poesia, la bellezza dei versi come pioggia salvifica e balsamo rigeneratore. La bellezza salverà il mondo. La famosa frase, fatta pronunciare da Dostoevskij al principe Miškin, protagonista de “L’Idiota”, ben si accompagna a una lettura più profonda delle opere di Christian Costa. Poesia pura, nella sua accezione più profonda, che si unisce a un’indubbia sapienza manuale per dar vita a opere che richiedono, e impongono, uno sguardo attento, scevro da superficialità e da facili definizioni. Il giovane Costa urla attraverso i suoi Mondi ammaccati, i World’s words e i World’s words burned una chiara denuncia nei confronti di chi perpetra lo sfruttamento ai danni del nostro pianeta: tuttavia la sua voce di protesta viene sublimata nell’arte, diventando così ancora più forte e comunicativa. Le sue opere hanno quel valore aggiunto di cui già Vasilij Kandinskij parlava: sanno profetizzare il mondo, oltre a fornire spunti di riflessione. È raro incontrare un artista che riesca a coniugare in modo così perfetto forma e contenuto, rendendoli parte di un unicum espressivo e poetico. Ed ecco i Mondi ammaccati, sfere di legno, talvolta lasciate alla loro colorazione naturale altre volte smaltate, con applicate foglie d’oro e d’argento che riproducono la geografia terrestre, schiacciati come lattine ormai inutilizzate e inutilizzabili, deformati e quindi trasformati da sfere in dischi, piegati e stropicciati da una mano senza controllo. Eppure Costa li plasma, li accarezza con una manualità da artigiano, ne ammorbidisce le forme, lasciando che sia la luce a definirne i contorni, a mettere in evidenza le venature del legno, in un gioco suggestivo di luci e ombre. Se i mondi ammaccati non consentono all’osservatore di intravedere possibili vie di salvezza, i World’s words sono invece luminosi momenti di speranza. La pelle ammaccata delle sfere e delle tavole si arricchisce di versi di poesie e di brani tratti dalla storia della letteratura internazionale. Cerchi concentrici di parole, ora fitti ora diradati sulla superficie lignea, rappresentano la rivincita dell’Uomo nella sua essenza più pura. La cultura, e la sua capacità di sopravvivere al trascorrere dei secoli, diventa l’unica via di salvezza per l’umanità e per il pianeta che ci ospita: riportarla con minuziosità certosina sull’opera è per lo scultore un modo per renderla immutabile. Con queste preziose creazioni lo scultore Costa dimostra di essere un colto ricercatore che non si accontenta dei risultati finora raggiunti. E dunque alla foglia d’argento e d’oro si aggiunge il cuoio, che definisce la fisionomia dei continenti nell’opera Il maestro e Margherita (Michail Bulgakov, serie World’s Words, 2012). C’è uno studio approfondito dietro ognuno di questi cosmi, ci sono sperimentazioni sui materiali, che rendono ogni singola scultura un pezzo unico. Inutile cercare qualcosa di casuale nella produzione di Costa, non lo troveremo mai: nelle tavole le scritte cadono dall’alto verso il basso come pioggia che ha il compito di lavare le brutture del mondo, la rarefazione delle parole e la diversa intensità di esse è funzionale al messaggio che vogliono comunicare. E poi le bruciature, l’elemento che forse più di ogni altro riesce a trasmettere il senso inquietante del punto di non ritorno. Di intensa e drammatica bellezza sono le due opere – una sfera e una tavola – su cui Costa riporta brani dell’opera di Primo Levi “Se questo è un uomo”. Il colore rosso sangue del legno e le bruciature accompagnano parole che riecheggiano indimenticate sofferenze. Nella poesia di prefazione al suo libro, Primo Levi scriveva “Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi alzandovi; ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.” Parole di ammonimento al non dimenticare, che Christian Costa rende palpabili in questi preziosi e suggestivi microcosmi in cui è racchiusa tutta la sua acuta creatività.

 

Stefania Bison

Critica Paolo Levi

LA CULTURA DI UNA MATERIA ANTICA

di Paolo Levi

 

Coinvolto come sono, soprattutto a livello emotivo, dalla poeticità complessa delle ricerche plastiche di Christian Costa, mi trovo ora a pormi giustificati quesiti. In questo contesto inedito, di alta inventiva linguistica e immaginifica, in questa ricerca senza alcun orpello o modello di riferimento, quali ferri del mestiere posso utilizzare per un’analisi appropriata? Non voglio rinunciare, di fronte ai messaggi di Costa, all’idealismo di Benedetto Croce, allo strutturalismo di Roberto Longhi, alla filosofia dell’assurdo di Albert Camus, dove è insito il concetto etico dell’interrogarsi senza finzioni sulla propria condizione esistenziale, affrontandola anche in ogni punto oscuro. È questo il patrimonio di pensiero dei miei tre maîtres à penser, ai quali rimango fedele come punto di riferimento analitico; e per fortunata coincidenza ne ritrovo la traccia nell’essenza profonda di questi lavori tridimensionali, in quanto essi sono la percepibile immanenza di pensieri estetici e liberatori, che si manifestano in costrutti sapienti di toccante significato.

Si tratta infatti di una meditata e oculata indagine sulla forma plastica dove combaciano perfettamente idealità della forma e idealità del messaggio, sostanziate in un tuttotondo che, pur del tutto fuori dalla tradizione, si attiene ai canoni dell’armonia visiva e formale. Costa, a livello spirituale, è un mercuriale, ovvero un pragmatico rigoroso a livello esecutivo: avverte l’anima dell’oggetto; dialoga con i suoi Mondi ammaccati, ai quali applica, in differenti contesti e in studiate situazioni poetiche,  lunari foglie di argento, o solari  foglie d’oro. Scultore di una materia antica, è ancora giovane di età, ma la sua anima viene da lontano, da un neoumanesimo che fonde insieme immagini e testi letterari. Reinventa l’incunabolo come strumento di comunicazione, copiando a penna testi significativi di autori moderni sulla superficie delle sue sfere o delle sue tavole lignee. Ma, a differenza degli scribi del Medioevo, egli gode della sicurezza che nulla si distruggerà grazie a una stabilizzante quanto sapiente verniciatura. Non sono narrazioni esemplari di santi o di beati, ma struggenti passaggi tratti da Primo Levi, oppure significativi pensieri di Blaise Pascal, o anche attimi di emozione nei versi di Eugenio  Montale o di  Cesare Pavese.

Costa vive in campagna, in mezzo ai boschi della valle alta del Tanaro, nel cuneese, al confine con la Liguria. Vive in mezzo ai suoi travi di legno e utilizza una motosega spietata per l’udito: per questo, per rispetto degli altri, ha scelto di vivere in un posto fuori dal mondo.

Il legno è materia umile e Christian Costa è artista concettuale, ma la sua ricerca non è minimamente avvicinabile alle sperimentazioni dell’Arte Povera; al contrario, la poetica delle sue avventure visionarie è ricca di un’idealità, che all’antiutopia all’Arte Povera è sempre mancata.

Ci si trova di fronte a lavori dove l’intuizione di forma, di colore e di scrittura si coniuga alla perfezione con il messaggio di Costa. Il suo modo di procedere corre entro un’area culturale unitaria, dove la visione storica lambisce e riunisce, a livello di immanenza estetica, la ricerca plastica astratta, la poesia visiva degli anni Settanta del secolo scorso, e il calore tattile del legno. In ogni occasione, egli sa trasmettere l’apparenza improvvisa e provvisoria della luce che si rifrange sulla sfera ammaccata del mondo, creando un dialogo che cambia di tono secondo le variabili ambientali e le diverse angolazioni. I suoi riferimenti culturali sono diretti e decodificabili, e la sua verità viene alla ribalta tramite il talento, la sapienza e la pazienza che lo accompagnano in ogni suo lavoro.

Critica Vittorio SGARBI

Ha una forte componente civile, assecondando il tema ecologista, l’arte di Christian Costa, scultore di professione, da qualche tempo divenuto scultore “di concetto”, più ancora che di sola forma. Subito a qualcuno rizzeranno i capelli: no, il solito artista ecologista, tutto ideologia fanatica e niente sostanza estetica! Il solito con la testa fermatasi irrimediabilmente agli anni Settanta, che ti impone un aut-aut neanche troppo velatamente ricattatorio, o sei dalla sua parte, e quindi apprezzi per forza le sue opere, o gli sei contro, e allora sei uno sporco retrogrado che si mette contro tutto il mondo evoluto. Sia chiaro che l’ecologia è una cosa serissima, degna della massima considerazione da parte di ogni essere capace d’intendere e di volere: sono gli artisti ecologisti a non poter essere presi sul serio, o per lo meno a non esserlo troppo di frequente. Quanti ce ne sono ancora a infestare mostre e rassegne in ogni parte del globo, tetragoni, come se nel frattempo nulla fosse cambiato dal tempo dei “figli dei fiori”, sempre politically correct, naturalmente, a fare i santoni, i messia di sé stessi, convinti che le loro ovvietà siano in grado di salvare l’umanità, che invece anela a salvarsi da loro. No, l’artista ecologista no!
Niente paura, Christian Costa non appartiene alla razza di artisti ecologisti appena evocata, la più deleteria. In lui non c’è fanatismo, ricatto ideologico, non c’è, soprattutto, la presunzione di poter impartire lezioni di civiltà agli altri. Non a caso, l’ho definito prima artista “di concetto”, invece che concettuale, la categoria critica entra quale la maggior parte degli ecologisti di un certo tipo sono ancora classificabili. Quale la differenza? L’ecologista concettuale sottomette la forma al “messaggio”. E’ il messaggio la vera bontà dell’opera, tutto il resto va in sottordine, al punto che la forma pu  diventare un semplice pretesto per imbastire il discorso, anzi, il Discorso. L’ecologista “di concetto” Costa, invece, non ritiene che da solo il messaggio possa assorbire tutto il senso della proposta formale fino a ridurla a un pretesto. Il concetto è importante, ma non è una parola d’ordine, un diktat di malcelata vocazione totalitaria, anche quando vorrebbe essere il contrario: è, molto più democraticamente, e anche garbatamente, l’invito a riflettere su argomenti d’interesse comune, senza per  alcun obbligo da parte nostra di accoglierlo. Dipende dalla nostra sensibilità, dalla nostra intelligenza; dipende, ancora di più, dal modo in cui l’artista riesce a esprimere in modo quanto più compiuto quel certo concetto. La sfida che affronta è allora quella di fare in modo che il messaggio sia perfettamente incorporato in una forma che riesca non solo a comunicare un
concetto, ma a esprimerlo secondo valenze diverse, di tipo simbolico, dunque indirette, che risultino più efficaci di quanto non farebbero le parole dei discorsi diretti. Da un certo punto di vista, l’artista “di concetto” dovrebbe assumere nei confronti del suo oggetto di comunicazione una disposizione mentale non troppo diversa da quella di un pubblicitario. Un’eresia, per chi, come gli artisti concettuali tradizionali, avesse un’idea “antropologizzata” dell’arte, sacrale e ritualistica come potrebbe esserlo in una tribù primitiva, quanto più lontana possibile dalle pratiche ordinarie del mondo moderno. Un parallelismo plausibile, per chi invece avesse un’idea più secolarizzata dell’arte, calata nella vita effettiva delle persone, a partire dalle loro abitudini comunicative. Vedendo la serie dei Mondi ammaccati, perfetta coniugazione formale del concetto ecologista “la Terra viene offesa”, trasposta anche in piano e con corredo di testi scritti nella variante World’s Words, ho pensato che certe riuscite invenzioni sarebbero piaciute a Armando Testa, maestro della moderna pubblicità italiana. Costa se ne dovrebbe rallegrare: quando la forma assolve totalmente la funzione per la quale è stata ideata, non è più pubblicità, è arte, e di primo livello.

Vittorio SGARBI